Murakose, come va?
Rieccoci da Kigali,
sabato scorso a Rutongo, il villaggio dove abbiamo sostenuto e tutt’ora siamo presenti la maggior parte dei nostri progetti d’aiuto allo sviluppo sostenibile, una grandissima festa di ringraziamento per la presenza dei 20 anni di Insieme per la Pace e dell’associazione locale di vedove Dushigikirane: moltissima gente, diverse autorità locali e statali, danze, poesie e giochi a premi per i presenti …
Siamo ritornati nella savana a visitare alcuni dei nuovi villaggi sparsi nella regione per accogliere gente rientrata dall’esilio a guerra e genocidio terminati e le troppo numerose persone cacciate dalla Tanzania.
Ci sentiamo in dovere di ringraziare il nostro caro amico e volontario rwandese, un giovane commerciante, che durante le nostre visite qui in rwanda ci ospita nella sua casa e ogni giorno ci mette a disposizione gratuitamente la jeep col fidato autista John. Noi partecipiamo di tasca nostra, senza gravare sulle spese di logistica dell’associazione, con la benzina e le spese “vive” della casa: muracoze Emmanuel! Grazie Emmanuel!
Durante questa nostra visita nella savana Emmanuel ci ha accompagnate per fare un sopralluogo dove verranno attuati i progetti per i quali abbiamo chiesto finanziamenti in Ticino tramite la Fosit, perché durante la nostra assenza sarà lui che seguirà i lavori e stanzierà i fondi man mano che i progetti prenderanno vita.
Partiamo di mattina molto presto, dopo alcune ore di viaggio ci incontriamo con Abbé Patrice al villaggio dove abbiamo aiutato il progetto “poterie” per dare la buona notizia, la cisterna per raccogliere l’acqua piovana dalle tettoie dove sono stati allestiti i due forni, richiestaci la scorsa settimana, è stata accordata e quindi possono dare il via ai lavori di preparazione, tra alcuni giorni il loro desiderio sarà esaudito.
Abbé Patrice è il tramite tra Insieme per la Pace e le autorità locali che ci hanno richiesto gli aiuti e ci accompagna durante tutta la giornata. Percorriamo ore e ore su strade sterrate a volte polverose a volte sdrucciolevoli e con pozzanghere perché qui è la stagione delle grandi piogge, per arrivare a Gatabe, il nuovo villaggio ai confini con la Tanzania e col parco nazionale dell’Akagera, dove il governo ha costruito un centro di sanità per evitare che la gente che abita nei paraggi debba camminare 6 ore di andata ed altre 6 di ritorno per raggiungere il centro sanitario di primo intervento più vicino. A noi l’arredamento, il laboratorio, la costruzione di cucine e servizi igienici e la posa di una pompa idraulica ad energia solare con due fontane. Abbiamo promesso gli aiuti, ora speriamo di riuscire a trovare i finanziamenti.
E’ sempre piacevole anche se triste, recarsi nell’Umutara: ogni volta in noi lo stupore per la bellezza del territorio, dell’ordine, della pulizia, dell’organizzazione ma anche il sentimento di smarrimento davanti a tanta dignità pur nel nulla più assoluto.
Ma ogni volta che ci si avvicina al parco nazionale ecco per me la solita preoccupazione, spero che Mutware, il vecchio elefante ora solitario, non sia all’esterno del parco e magari anche sulla nostra strada…
Mutware prima del genocidio era un elefante mansueto con il suo guardiano personale, due amici inseparabili che visitavano spesso il giardino dell’albergo all’interno del parco per la gioia dei turisti che potevano avvicinarsi e farsi fotografare tra le sue zanne.
Scoppia il genocidio nel 1994 e Mutware viene colpito da una fucilata: diventa cattivo e imprevedibile, un problema per le guide e i visitatori del parco.
Dopo alcuni anni di terrore a qualcuno viene la buona idea di cercare il suo vecchio guardiano e riportarlo nel parco: l’elefante lo riconosce subito e nuovamente diventa mansueto e avvicinabile: il vecchio, amato e dolce Mutware. Per lui e per tutti alcuni anni di pace.
Durante i processi popolari, le gaciacia, organizzati per snellire i processi ai numerosi genocidari, qualcuno fa il nome del guardiano di Mutware per complicità ai massacri e viene arrestato.
Una catastrofe, l’elefante ridiventa aggressivo e temibile, esce dal parco e rientra in assoluta libertà, a volte si avvicina ai villaggi ed è mansueto poi improvvisamente si innervosisce e inizia a far disastri mettendo a repentaglio la vita degli abitanti.
Da alcuni anni con l’aiuto di un elicottero è stato fatto rientrare al parco. L’ultima volta che ci sono andata eccolo sbucare dagli alberi pronto ad attaccarci, le orecchie sventolanti, l’enorme zampa a raspare il terreno. Riusciamo ad evitarlo ma non sarà così per gli sventurati che a gennaio di quest’anno se lo sono ritrovati davanti, una jeep di Emmanuel con turisti mezza devastata, un’altra rovesciata, tanto terrore ma fortunatamente nessun morto.
Proseguiamo verso il confine con l’Uganda per raggiungere un ulteriore villaggio dove sono state sistemate 47 famiglie di sfollati tanzaniani, sono stati spostati così lontano per poter offrire loro un ettaro di terra da coltivare e perché, essendo di religione mussulmana, nel paraggi c’é una moschea. La povertà più assoluta, gente abituata ad avere grandi mandrie di mucche e vivere di latte e di latte cagliato ora spogliata di tutto, tutte le loro mucche confiscate in Tanzania, il governo rwandese offre 5kg di fagioli e 5kg di riso la settimana per famiglia. La terra è stata coltivata ed ora bisogna aspettare il raccolto. Ci hanno portato fino “ai confini del mondo” perché siamo arrivati dal Ticino con soldi per acquistare e distribuire caprette e galline. Per noi sarebbe stato logisticamente più semplice riunire la visita al dispensario alla distribuzione degli animali nello stesso villaggio ma i rappresentanti del governo, sempre molto attenti e sensibili, decidono di assegnare gli animali agli sfollati tanzaniani per distribuire equamente gli aiuti.
Con cari saluti gabriella, marita, lhamo e Luigi