Ieri siamo andati a Byumba per distribuire capre e pecore a una comunità di pigmei che vive in un villaggio a 2500 metri d’altezza.
Ogni volta che devo andarci un misto di inquietudine e di tristezza mi assale, ripiombo nel terribile mese di maggio 1994, in pieno genocidio, la mia prima volta in Africa, in Rwanda, in territorio di guerra, il primo centro di raccolta di bimbi rimasti orfani o dispersi, il grande cambiamento che viaggio nell’inferno ha portato nella mia vita.
La strada per salire a Byumba (continuando porta in Uganda, siamo a poche decine di chilometri dal confine), attraversa paesaggi bellissimi, puliti, ordinati e ora ben terrazzati e coltivati, ma l’immagine di migliaia di profughi, colonne interminabili di gente spogliata di tutto che scendeva dalla montagne nell’inutile speranza che qualcuno passasse a portare aiuti è sempre ben viva in me, anche ora non riesco a credere che in un paese così idilliaco avesse potuto scatenarsi quell’inferno, in tre mesi un milione di morti massacrati dall’impietoso macete.
Arrivati a Byumba ci rechiamo subito al vescovado per incontrare monsignor Servilien, è lui che ci dovrebbe procurare gli animali da distribuire e aiutarci nella organizzazione della stessa, visitiamo la cattedrale ora rinnovata e rinfrescata con le vetrate colorate… lontani ormai i tempi dove i feriti venivano portati qui e questa chiesa rappresentava un posto di primo soccorso, impregnata di sangue e disperazione.
Arriva il vescovo, ci offre un caffè e poi via tra saliscendi, su strade sconnesse verso il villaggio dei Batwa, fortunatamente gli ovini sono in arrivo, nessuna malattia minaccia la nostra distribuzione.
Facciamo un giro a piedi per visitare l’intero villaggio dove abitano 47 famiglie in case dignitose, col tetti di coppi: tra bimbi, anziani, cugini e parenti vari questo UMUDUGUDU ne ospita al minimo 400. I pigmei scelgono di vivere ai margini della società e di non integrarsi. Ogni volta che li incontro mi sembrano tristi, con nell’anima ancora il ricordo della caccia nelle foreste, della preziosa argilla portata al villaggio dagli uomini e regalata alle donne per fabbricare vasi e contenitori per l’acqua…
Prima dell’arrivo della colonizzazione il clan dei pigmei era importante per il regno del Rwandaurundi, procurava i contenitori per l’acqua, un altro clan era composto da coltivatori, un’altro ancora da allevatori per lo più nomadi.
Le distinzioni razziali e le etnie sono nate dopo: i coloni hanno creato distinzioni e separazioni, gelosie e prevaricazioni, hanno diviso, territori e regni, hanno distribuito terre alle varie nazioni europee.
Il regno rwandese, ormai diviso, è toccato alla Germania sebbene nessun tedesco era riuscito a mettere piede in questo Paese e i rwandesi stessi non erano a conoscenza di essere diventati una colonia.
Eccomi a suggerire al vescovo di consigliare che montoni e capre non sono da mangiare subito, meglio aspettare che che facciano i piccoli per poi venderli a ricavare un po’ di soldi per magari acquistare sapone e uniformi per mandare i bimbi a scuola, per migliorare la loro qualità di vita.
L’arrivo dei montoni, le capre arrivano a piedi; i collaboratori del vescovo hanno girato alcuni giorni, a piedi sulle montagne, per procurare gli animali, grazie di cuore!
Oggi I febbraio è la festa degli eroi, ci saranno celebrazioni, canti e danze in tutto il Ruanda, Antonina, Esther e Alessandro rientreranno in Ticino, anche loro carichi di materiale per i nostri mercatini, Josianne ed io partiremo martedì sera, abbiamo ancora il tempo per accogliere Filippo e Vittorio che arriveranno sabato, finalizzare progetti diversi, salire a Rutongo,fare acquisti, ecc, ecc…
Cari saluti gabriella