Quando si parla di organizzazione…

Kigali, siamo atterrate l’altra sera a mezzanotte, due passi nell’aeroporto e subito veniamo fermate da due infermiere con guanti e mascherina che ci misurano la febbre. Il termometro è super moderno, nessun contatto con la pelle, dotato di una luce verdolina, forse a laser? Siamo arrivate dopo ore passate a Malpenza tra centinaia di persone prima dell’imbarco, poi uno scalo di 4 ore a Istambul dove abbiamo incrociato migliaia e migliaia di persone ma nessun provvedimento per la tanto discussa ebola. In Europa non passa giorno che non viene nominata la terribile malattia ma alle dogane e negli aeroporti nessun accorgimento, qui, in questo piccolissimo Paese nel cuore dell’Africa, ad ogni frontiera, la stessa misura di prevenzione contro la diffusione del virus: a tutti quelli che entrano vien misurata la febbre e subito un’apparato medico è pronto per isolare eventuali sospetti e trasportarli in isolamento.

Ieri il primo viaggio nella savana a visitare gli sfollati.
Passiamo al foyer di Remara a prendere Chiara che viene con noi. Dopo ore di viaggio, sulla strada a un’ora circa prima di arrivare da loro, una rapida visita al villaggio dei Batwa che abbiamo preso sotto tutela. Da alcuni di loro ci viene presentata con orgoglio la mucca col suo vitellino che hanno vinto a un concorso statale di prodotti d’artigianato. Hanno anche un costruito un forno nuovo, più grande, per far seguito alle numerose richieste di “mbabura” i fornelli per cucinare a basso consumo energetico. Ritroveremo poi questi “mbabura” al mercato dove provvisoriamente hanno sistemato le persone e gli stra numerosi bambini scacciati dalla Tanzania. Ora il grande esodo è cessato, solo sporadicamente alcuni si ritrovano a percorrere a piedi i lunghi tragitti fino al confine con il Ruanda, non appena arrivano alla frontiera vengono presi a carico dal governo ruandese e con un bus portati a Nyagatare in attesa di essere sistemati in un nuovo villaggio, che ancora non è stato costruito per mancanza di fondi.
In questo centro da noi visitato 75 famiglie vivono in altrettanti locali che sarebbero dovuti essere dei negozietti attorno alla piazzale del mercato. Arriviamo sul mezzogiorno, visitiamo alcuni alloggi, parliamo con loro: Marita parla lo swaili la lingua anche della Tanzania e così é più facile comunicare. Una donna racconta che è arrivata un mese fa, da sola, nessuna notizia della sua famiglia, di suo marito, dei suoi figli, aspetta fiduciosa nella speranza che non siano stati uccisi e che riescano a raggiungerla in Ruanda.
Un signore anziano ci dice di come è riuscito a salvare la nuora coi suoi 5 figli e altri bambini della famiglia e portarli in Ruanda, alloggiano in 14 in un locale di 3 metri quadrati, alcune stuoie in terra, il loro arredamento è tutto lì.
Ad ogni famiglia il governo garantisce 5 kg di fagioli e 5 di farina di polenta bianca alla settimana.
Come al solito colpisce l’assoluta mancanza di organizzazioni umanitarie che solitamente intervengono in situazioni analoghe (esodo in massa di profughi), solo noi siamo presenti e collaboriamo con le autorità locali e abbé Patrice per cercare di dare un po’ di speranza per un futuro in questa, per loro nuova, terra di accoglienza.

A febbraio durante la nostra precedenza missione avevamo stanziato fondi per altre 5 pompe idrauliche. Tutte sono terminate e funzionano benissimo. Andiamo a visitarne una che è proprio sulla strada all’uscita del parco Akagera. La gente è soddisfatta e con sorpresa ci mostra una “pepinère” dove poco distante dalla fontana, alcuni beneficiari, di proprio iniziativa hanno deciso di coltivare piantine locali per poi rimboscare la zona che fino a pochi anni fa era ancora Parco ma che ha dovuta essere “liberata” per accogliere oltre 1 milione di persone rientrate dall’esilio a guerra e genocidio terminato e negli ultimi anni le migliaia di persone scacciate dalla Tanzania.

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Settimana prossima ritorneremo nella savana per andare al nuovo villaggio di Gatabe dove il governo ha costruito un centro di sanità per evitare che chi vi abita debba percorre 6 ore su strade sterrate e polverose per aggiungere il centro sanitario più vicino. La richiesta per questo nuovo centro ci era stata fatta alcuni anni fa quando siamo andati a visitarli e a distribuire capre e pecore e galline ad alcune famiglie. Avevamo promesso che saremo ritornati per continuare le distribuzioni di animali a chi era rimasto senza e che avremmo parlato con la autorità locali per un eventuale centro di sanità.
A Gatabe verranno offerte cure di primo intervento e soprattutto diventerà una casa per nascere bene. Il centro è costruito ma ora manca di tutto: arredamento, laboratorio, infrastrutture, acqua, toilettes e cucina per chi arriva da lontano ad occuparsi delle partorienti e dei pazienti.

Come scritto dal Mahatma Gandhi: “Se vogliamo raggiungere una vera pace in questo mondo, dovremo incominciare dai bambini”. Nascere bene ed essere accolti con amore, è un diritto umano fondamentale, il cui rispetto può lasciare un’impronta di pace per tutta la vita.
Per offrire ai futuri genitori e ai loro bambini la possibilità di vivere questo importante evento in modo naturale e armonioso anche a Lugano un gruppo di levatrici, sostenute dall’Associazione Nascere Bene Ticino, sta creando una casa della nascita a Lugano. Per raccogliere fondi per questo progetto ticinese il nostro coro GOCCIA DI VOCI offre un concerto alla Chiesa Evangelica, vedi locandina:

GdV_23_OTTOBRE_PER_NASCEREBENE

Con cari saluti Gabriella, Larita, Lhamo e Chiara

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